Nasce l’Agenda 27, il conservatorismo green che parla all’Europa

di Valentina Colucci Fabrizio

Dal Golfo di Napoli risale un vento dolce e in controluce si intravede qualcosa di molto di più di uno dei tanti convegni sull’Ambiente: da un alto terrazzo tufaceo che si affaccia sul mare, con viste spettacolari sul Vesuvio e su Capri, ecco la prospettiva di una nuova cultura politica italiana ed europea. Grazie al think tank “Shared Ground” nella città delle sirene, ci siamo riuniti per confrontarci su un conservatorismo green che ambisce a superare la frattura tra l’ambiente e la “crescita felice“.

Tra i presenti, il copresidente del gruppo ECR al Parlamento Europeo Nicola Procaccini, figure istituzionali, e think tank nazionali, esperti di energia e finanza d’impatto, insieme a delegazioni di associazioni ambientaliste e fondazioni culturali. Una platea eterogenea, ma unita da un’idea chiara: l’ecologia non è, e non deve essere, prerogativa del socialismo o del pensiero dominante delle sinistre progressiste. È, al contrario, uno dei valori fondanti del conservatorismo, che nella cura della terra, nella responsabilità e nella misura riconosce le radici più autentiche della libertà e di ecologismo consapevole (non ambientalismo dogmatico militante).

Un laboratorio di idee, più che una conferenza. L’obiettivo: restituire all’Europa una visione della sostenibilità fondata su libertà, responsabilità e impresa. “Non si difende la natura distruggendo la società che la abita” — ho detto durante il mio intervento, citando il cuore del nostro pensiero — “ma si protegge il territorio investendo nella cura, nella manutenzione, nella cultura della misura e nella fiducia nel lavoro”.

L’Agenda 27 è nata da questo spirito: un’alleanza tra competenze e pragmatismo, tra chi crede che la transizione ecologica non debba essere imposta ma costruita. L’Europa — è stato ricordato più volte nei panel — rappresenta solo il 6% delle emissioni globali ma sostiene gran parte del costo politico e industriale della decarbonizzazione. Serve, dunque, un realismo nuovo, capace di unire sicurezza energetica e innovazione tecnologica, finanza d’impatto e sviluppo locale.

In questa prospettiva, il mio intervento — “Conservare per innovare o innovare per conservare? La via europea alla sostenibilità” — ha voluto indicare una direzione diversa: invertire la priorità del Green Deal, spostando il baricentro dalle regole alla resilienza. Ogni euro speso in prevenzione, in infrastrutture sicure e in ricerca applicata, è un investimento nella competitività futura.

Il conservatorismo ambientale non è negazione del cambiamento climatico: è realismo operativo. Significa valorizzare l’economia circolare, favorire la nascita di nuove imprese sostenibili, orientare la finanza privata verso progetti misurabili e solidi. “La sostenibilità non si impone si costruisce attraverso industria, formazione e fiducia nel merito”.

Da Sorrento arriva dunque un messaggio che parla alla nostra Nazione e all’Europa intera: la sostenibilità non è un lusso morale, ma una politica di sicurezza e di libertà.
Il Mediterraneo, crocevia di culture e di economie, diventa così la metafora di un’Europa che vuole tornare a produrre, a innovare e a credere in se stessa.
Non per cambiare tutto, ma per cambiare ciò che serve a durare.