Northvolt, addio al sogno europeo delle batterie

Northvolt addio per sempre. La produzione di batterie per automobili elettriche in Svezia si ferma per sempre. Avrebbe dovuto essere la risposta europea al predominio cinese ma non è andata secondo le previsioni e le speranze.

Northvolt, ufficialmente fallita lo scorso 12 marzo, con debiti di circa 7,5 miliardi di euro, era il simbolo di un grande un progetto e cioè che l’Europa potesse conquistare una propria indipendenza tecnologica in un settore cruciale per la transizione energetica. Fondata nel 2016 da ex manager di Tesla, l’azienda aveva saputo attrarre circa 15 miliardi di euro tra fondi europei e investimenti privati, diventando la startup industriale più finanziata di tutta l’Unione europea.

Secondo alcuni analisti, tra le cause principali del fallimento c’è la mancanza di un sostegno pubblico adeguato. Mattias Näsman, storico dell’economia all’Università di Umeå, parlando con il Sole 24 Ore, è stato netto: «Se lo Stato svedese avesse sostenuto Northvolt nel momento critico, probabilmente oggi non saremmo qui a parlare di bancarotta». Il paragone con altri Paesi europei non gioca a favore della Svezia. In Francia, Germania, Polonia e Ungheria – ricorda Näsman – le imprese del settore hanno ricevuto cospicui aiuti statali. E la Cina, che oggi controlla oltre l’80% della produzione globale di celle per batterie, continua a offrire sussidi massicci ai propri colossi industriali, rendendo la concorrenza oggettivamente impari.

Per l’impresa svedese, a pesare sono stati due duri colpi: la cancellazione di un maxifinanziamento da 5 miliardi di dollari per un nuovo impianto, e soprattutto la decisione di Bmw di rescindere un ordine da 2 miliardi a causa di ritardi nelle consegne. Una produzione mai davvero decollata, troppo dipendente da forniture e competenze cinesi, ha fatto il resto. Northvolt, al momento della bancarotta, rappresentava appena il 7% della capacità produttiva pianificata in Europa.